Alfredo Morosetti – FILOSOFIA
FORMATO 19X29 – Pag. 38 euri 3,17 (solo e.book)
La domanda è abituale; ritorna sempre uguale di epoca in epoca, la risposta è ellittica. Insomma, che cos’è la filosofia? e poi, in subordine, a che cosa serve? Non entriamo nel merito, constatiamo, piuttosto, che se la domanda continua ad essere posta, le risposte trovate sono state tutte insufficienti, mediocri, probabilmente fuorvianti. E ancora, se rispondere alla domanda non si riesce, perché non lasciare stare; oppure, perché non consolarsi con la considerazione che tutto è relativo e che, perciò, ogni punto di riferimento dato per scontato vale quello che vale, e cioè soltanto il momento in cui ciò che ci è sembrato utile o comodo prenderlo per buono.
Tuttavia, potremmo allora dire che quello che rimane costante, riguardo al senso della filosofia, è proprio l’eternità della domanda intorno al suo senso, ma questo circolo vizioso, se pensato in modo rigoroso, ci porta molto lontano e molto vicino al nostro tempo, dal momento che oggi, da più parti, si sostiene che la filosofia non è una teoria, non è un sistema, non è una dottrina conclusiva, bensì una pratica, un desiderio mai esaurito di rivolgere il linguaggio contro il linguaggio, affinché ci dica di più di quanto usualmente è stato educato a dire.
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MARCEL PROUST E LE DONNE Formato 18×29 – Pag. 120, euri 11.90 –
“Gli uomini guardano le donne, e le donne? Guardano le altre donne”. Questo quanto suggerisce la saggezza popolare. Dobbiamo crederci? Probabilmente si, almeno se riteniamo che il pensiero di Proust circa le relazioni fra i sessi abbia un qualche valore. In un certo senso, le migliaia di pagine che compongono Alla ricerca del tempo perduto, ci ripetono quasi ossessivamente che gli amanti vivono uno spaventoso equivoco, che nasce dalla reciproca e sostanziale incomprensione, e che e causa – ma solo per gli uomini – di infinito dolore e, a volte, di follia. Il punto focale della questione non è la riconferma di un antico luogo comune, secondo il quale chi ama non è mai riamato, ma il fatto che le donne amano in modo diverso. Cosa vuol dire? Che vivono il sesso con una coloritura affettiva ed una valenza etica del tutto estranee al mondo degli uomini, e la ragione per cui le donne guardano le altre donne non deve essere intesa come una naturale e latente tendenza omosessuale, bensì come il modo cosciente e determinato con cui le donne vengono a capo della battaglia dei sessi.
Per molto tempo il cibo è stato l’alfa e l’omega dell’umanità. Tolte alcune divagazioni notturne, alcune ore settimanali dedicate alla devozione e qualche distrazione domenicale, impiccagioni e squartamenti compresi, tutto il resto del tempo era equamente diviso fra le molteplici attività finalizzate a procacciarsi il cibo e quelle destinate alla sua conservazione e trasformazione in goduriosa e fumante pappa pronta.
Come di tutte le cose essenziali e venerate, se ne parlava poco, badando piuttosto al sodo, ossia cercando, o meglio sognando, di mangiare non solo il più possibile, ma anche cercando di trarre da ogni alimento il meglio che potesse dare sia nel modo di cucinarlo sia nel modo di combinarlo con altri. Esattamente come Amore, la grande cucina nasce da povertà e ingegno. Meno roba si ha e più si riesce a trarre il meglio da essa. Questo spiega come tantissime ricette squisite siano nate da uno stato di indigenza e come Amore sia da sempre l’artefice di ingegnosi trucchi in cucina. Si, Eros è colui che congiunge i viventi al Vivente e dunque tavola e talamo sono gli altari dove egli chiede sia celebrata la festa del vivere. Le ricette, le specialità, i cibi sopraffini che abbiamo scoperto e raccontato in questo volume sono proprio quelle dove Eros ha saputo, meglio che in tante altre occasioni, ispirare, con il cibo, il gusto e la sapienza del ben vivere. Personaggi come il Ciulanèn, il capitano Haickwood, il Baratieri, il rag. Gaslini, me stesso, non avrebbero mai potuto lasciare traccia se non avessero trovato nel cibo Eros e se per loro il cibo del quotidiano sostentamento non fosse stato Eros. E grazie a questo sodalizio d’Amore, il cibo ha perso la sua pesante istanza di bisogno naturale, così come Eros ha trovato nel cibo un luogo dove manifestarsi senza doversi nascondere troppo agli occhi indiscreti del mondo. |
Pag. 52 Formato Kindle euri 2,99 Un mondo perfetto, un mondo senza ingiustizie, un mondo felice, un mondo senza donne…
Un racconto apocalittico, da leggere tutto di un fiato, in attesa delle necessarie trasformazioni scientifiche che ci libereranno dei tanti limiti che ancora rendono la nostra vita infelice. |
LETTERE DA BILBILIS DI MARCO VALERIO MARZIALEMarziale fu uno dei pochi poeti latini che divenne famoso non solo da vivo, ma anche presso i ceti più modesti del mondo romano e letto, a quanto sembra, persino negli accampamenti militari. Le ragioni di questo successo sono presto dette. Marziale prende ad oggetto dei suoi versi la vita di tutti i giorni, le aspirazioni, i desideri e i modi di essere di quell’enorme folla che ogni giorno si riversava e viveva per le strade di Roma. Ci parla di gladiatori, aurighi, prostitute, ricchi depravati buoni a nulla, ma capaci solo di rovinarsi per i propri vizi, di gente qualunque che tira a campare, di falliti che vivono di espedienti, di donne assetate di denaro e pronte a tutto per ottenerlo. Ci rivela l’anima della massa anonima dei suoi contemporanei. Non degli umili e degli umilissimi, cioè degli schiavi, ma dei cittadini di media condizione, alcuni poveri altri benestanti, ma tutti fuori dai circoli esclusivi del potere e della cultura superiore. Ci racconta i loro sogni, le loro fissazioni, il loro modo di intendere il bene di vivere. E riesce a farlo in virtù di uno stile straordinario, che incanta il lettore per le sorprese che crea. E’ uno stile caustico, spietato, imprevedibile. L’epigramma gli consente in pochi versi di fotografare, con una sorprendente sintesi linguistica, un ambito di relazioni umane, un quadro di intenti morali. Questi epigrammi sembrerebbero essere quasi dei sillogismi apodittici, la cui conclusione è però una doccia fredda, una freddura che muove ad un sorriso quasi sempre di disprezzo o di repulsione. Questa è la chiave che ne decretò il successo presso i contemporanei. In una battuta amara, coglievano se stessi. Dalla lettura dei suoi epigrammi abbiamo, perciò, uno spaccato, ineguagliabile con altri mezzi, del mondo spirituale romano nel momento più felice della sua storia imperiale. Lui non voleva né condannare né moraleggiare, voleva divertire, voleva piacere, voleva essere apprezzato. E’ solo la vanità che lo spinge a scrivere. E questa è, per noi, una fortuna, perché è proprio questa assenza di fini moraleggianti che ci permette entrare, quasi fossimo contemporanei, nell’universo spirituale dell’uomo della strada che viveva a Roma nel primo secolo dopo Cristo. E ne restiamo impressionati non per la distanza, ma per la vicinanza. Sembra di essere nel nostro mondo. Intenti, prospettive, credenze, idee generali sulla vita e sul mondo, sono pressoché le stesse che incontriamo oggi. Una immane folla di disperati, perché non sanno e non possono dare alcun senso alla loro vita, che cercano conforto nel piacere, nello stordimento, nei godimenti più triviali ed elementari. |
Le quattro sezioni in cui è diviso questo lavoro sono più che altro dei vaghi segnalibro che servono a tenere vicini scritti che hanno qualche consonanza, ma in realtà si tratta di qualcosa di abbastanza pretestuoso, perché il tema di questi scritti è uno soltanto ed è consono al titolo del volume, “Memorie dal cornicione del grattacielo”. Il tema generale e ricorrente è quello infatti del guardare dall’alto di un cornicione il marciapiede laggiù in basso. Siamo al momento finale di una civilizzazione, quella laico – progressista, che ha avuto nella scienza e nella visione ingegneristica dell’agire sociale gli idoli della sua superstizione. Oggi è un serpente che ha inghiottito un puntaspilli credendolo un topo. Si dibatte, sputando e defecando sangue, la sua fine è vicina, ma come tutti i serpenti è duro a morire. Nella sua follia autodistruttiva ha cancellato il senso comune. Ha affermato che a primavera le foglie non sono verdi, che si tratta di un pregiudizio. Così allora la donna è un uomo disconosciuto, l’invertito un martire della libertà, il nero il nuovo Adamo nel Paradiso Terrestre, il nome del padre, l’odioso epiteto di un patriarca, il nome della madre, quello di una schiava volontaria che ha rinunciato a far valere i suoi diritti sociali. Accanto a tutto ciò, la mitologia di complemento, ossia la superstizione che il mercato sia libertà, il Pil l’indice di felicità di un popolo, i consumi la chiave di volta per una vita degna di essere vissuta, il piacere la motivazione che rende sensato lo sforzo di vivere. Insomma tutti gli ingredienti ideologici e le follie concettuali di una civiltà arrivata all’estremo limite delle sue possibilità e incapace di guardare se stessa con un minimo di autoironia unita al senso del tragico. Vive una tragedia, ma siccome in Europa il senso del tragico si è slabbrato e dissolto con l’istruzione obbligatoria di Stato e in USA non è mai arrivato per incompatibilità, si vive lo stato di fatto secondo canoni interpretativi, ricavati da schemi ideologici ottocenteschi. Gli unici a disposizione. Quelli della lotta per il progresso contro l’ottusa visione reazionaria delle cose; quelli del laicismo materialista contro l’odiosa insensatezza della superstizione religiosa; quelli dello sviluppo economico come panacea di ogni male e come strumento di comprensione di ogni fenomeno umano. |
Il filo conduttore di questo volume è quello dell’illuminazione, per un verso, e del racconto surreale, per l’altro. L’illuminazione è un fiammifero che si accende in una stanza completamente buia e che ci permette di vedere, ma solo per un attimo e in maniera insolita, un piccolo angolo della stanza nella quale abitualmente viviamo. La brevità e il gioco incerto della luce ce lo mostrano da una prospettiva e in una maniera nella quale, in pieno giorno, mai avremmo sospettato, anzi mai avremmo soffermato la nostra attenzione su di esso, mai avremmo potuto immaginare che fosse qualcosa che stava a sé e aveva una sua vitale forza di attrazione. I racconti che stanno in piedi in grazia del fondo surreale che li regge, sono, come dice il nome, surreali. Contengono cioè un eccesso di realtà. L’eccesso di realtà dona loro, quando è genuino, un candore che pulisce la loro esatta realtà di tutta la terra dentro la quale si sono rintanati per proteggersi dal freddo o che li ha ricoperti per la semplice distrazione di chi li ha lasciati inavvertitamente cadere, per essere poi schiacciati dal piede del passante che nemmeno si accorge di quanta realtà sta calpestando e mettendo sottoterra.
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