La strada di Cormac Mc Carthy

Immaginiamo che un angelo sussurri nell’orecchio dell’anima della totalità degli elettori di votare per un partito che garantisce un programma integralmente antistatalista, liberale, persino fanatico riguardo alla diritto di proprietà e di totale libertà di espressione al punto di abolire il reato di diffamazione, quello che ti impedisce, anche se comprovata, la narrazione di fatti veritieri circa il comportamento altrui che in qualche modo ne danneggiano l’immagine pubblica. Immaginiamo dunque che questo partito ottenga quasi il 100% dei voti. Ebbene potrebbe sul serio cambiare qualcosa di strutturale riguardo all’organizzazione del sistema sociale? Io dico di no, potrebbe solo fare propaganda e modificare al massimo qualche dettaglio. Perché? Per la semplice ragione che in ogni caso non potrebbe abolire gli ospedali e la richiesta pubblica di ricevere, non importa se gratis o a pagamento, tutta l’assistenza medica disponibile; perché non potrebbe impedire che la gente abbia, come vuole, scuole di libero accesso, non importa se di stato o private, nelle quali impara cose utili a diventare una scimmia ammaestrata, al fine di potere aspirare a ricevere il bene di un impiego; perché non potrebbe impedire gli stadi, i giochi sportivi, le corse automobilistiche, le soap operas, la religione della salute e il principio che vivere è godere delle cose del mondo quasi il mondo fosse una grande mammella da cui suggere il latte; perché non potrebbe cambiare la fisionomia architettonica di questi mostri che sono le città e trovare una soluzione diversa al fatto che la gente viva in una specie di loculo tombale, ma dotato di tutti i comforts, allo stesso modo che non può impedire che i contadini abbandonino le loro antiche e splendide cascine, per andare ad abitare a 20 metri da esse in una villetta di cemento armato con in giardino i sette nani di plastica. Più in generale perché non potrebbe imporre il poco e caro ma bello, contro il tanto e brutto ma a prezzo stracciato. Più ancora non potrebbe impedire che il sistema di produzione possa cambiare di una virgola, ovvero che un’immane macchina tecnologica,  assemblata da pochi tecnici specializzati e  totalmente prigionieri della logica di questo mostro senza senso che divora se stesso, caghi fuori dalle proprie viscere una pioggia perenne di escrementi  di ogni forma e odore, sotto la quale la folla anonima del mondo si sbraccia per raccoglierne quanta più possibile e portarsela a casa. Infatti solo cambiare una virgola, significherebbe un terremoto dagli esiti imprevedibili, ma di sicuro catastrofici per vita di miliardi di persone.

Dunque chi si affida alla politica per uscire da questo inferno che è civiltà dello spettacolo è un illuso o, più probabilmente, uno che mente a se stesso, spinto in realtà da una modesta ambizione a diventare un coso fra i cosi.

Diversi anni fa lessi alcuni libri di Cormac Mc Carthy, quello di Cavalli selvaggi, La strada, e Non è un paese per vecchi. Mi piacquero ma non li trovai geniali come in genere alcuni suoi lettori americani  li trovavano, al punto di fare del piccolo e introvabile ranch nei pressi El Paso, al confine col Messico, il luogo di un pellegrinaggio mistico. Soprattutto rimasi infastidito da una sua intervista nella quale diceva che il principale scopo  morale della sua vita era stato quello di trovare il modo di sopravvivere senza lavorare, perché entrare nella logica del mondo del lavoro era perdere se stessi. All’epoca avevo idee diverse e la cosa mi sembrò un’enormità, perché sembrava accreditare l’idea di una vita a scrocco. Ma non era così; Mc Carthy si rendeva conto, molto prima di me, che ciò che chiamiamo lavoro  non esiste più, che è una parola vuota, che in realtà si tratta di un’immensa macchina totale che ti vuole trasformare in un insetto. Dunque, come gli dei di Epicuro, la soluzione è piazzarsi fra gli intramondi, fra un ingranaggio e l’altro del mondo sociale, e prendere al volo un po’ di grasso che cade da quel marchingegno e poi rendersi invisibili facendo da sé, trovando dei rifugi  dentro i quali ripararsi dalle radiazioni  che emette l’ordine sociale e che produce la trasformazione genetica della natura umana  in qualcosa di comico e repellente al tempo stesso. Insetti, appunto.

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